Educare ai sentimenti
Esternare i propri sentimenti non è mai stato facile, ma nell'era digitale sembra esserlo ancora di più.
Qualcuno ci riesce di più, alcuni di meno. A volte si dicono le cose giuste alle orecchie sbagliate o viceversa. Per il resto, l'imbarazzo nell'aprire il proprio cuore all'altro, unito al timore sempre presente di aver frainteso i segnali ricevuti, non ha mai facilitato le cose. Qualcuno entra nella vita degli altri in punta di piedi, facendosi precedere da una rosa o da qualche altro pensiero. Altri affidano alla carta ciò che non riescono ad esprimere con le parole. Alcuni passano direttamente ai fatti, sperando che un bacio possa costituire una comunicazione sufficiente. Qualcuno si gioca il tutto per tutto mettendosi a nudo e confidando nella buona sorte.
Ancora adesso è così, ma i ragazzi di oggi vestono un'armatura tanto poco scintillante quanto tecnologica. Facendosi scudo dei telefonini si relazionano molto più di un tempo utilizzando abbreviazioni, espressioni gergali o emoticon che coprono i significati e trasformano il valore e il peso delle parole. Il risultato è un insieme di relazioni liquide, nelle quali lasciare o essere lasciati non sembra così importante e l'affetto viene nutrito più dai Like che non da rapporti ed esperienze comuni. La facciata è apparentemente più solida, la gestione delle relazioni pare semplificata e più superficiale, quindi meno coinvolgente. Ma non per questo spaventa meno, né esime dalla sofferenza. Dare meno, e sapere di approfittare degli strumenti tecnologici per non esporsi troppo, significa anche essere perfettamente consapevoli che ciò che ci si può aspettare da chat, messaggi e contatti non ha la profondità di un legame creato con la condivisione fisica ed emotiva di piu momenti di vita.
Le conoscenze fatte sul web sono perfette per le relazioni usa e getta: richiedono un minimo investimento emotivo, non sono faticose da allacciare né da interrompere, ci si aspetta poco e si è disposti a concedere in ugual misura. Ma quanto è più emozionante conoscere qualcuno per caso, durante un viaggio, o una festa, emozionarsi per un'occhiata sfuggita al controllo, imbarazzarsi per un pensiero che attraversa fulmineo la mente, escogitare un modo per avvicinarsi, o per defilarsi, o per prendere tempo. Scoprire poco alla volta pregi e difetti, svelarsi piano piano, accade ancora in piccole bolle di vita reale, che di solito iniziano per caso e sono capaci di prendere pieghe inaspettate. Compagni di classe, di oratorio, di sport diventano a volte le amicizie del cuore, quelle che resisteranno immutate sulla fiducia anche decenni dopo che ci si sarà persi di vista. Rapporti all'interno dei quali ci si può confidare davvero sapendo di non essere giudicati, ci si può confessare senza aspettarsi una punizione, si può ascoltare senza temere la menzogna, si possono accettare allo stesso modo silenzi e sfoghi senza cambiare opinione sull'altro. Ma anche in questi casi
spesso i sentimenti, quelli veri, vengono mascherati da espressioni che ne attenuano il significato. "Ti amo" lo si dice con il cuore, più che con la voce, quasi a basso volume, dedicando del tempo per pensare se e quando dirlo, racchiudendo in due sole parole significati che potrebbero impegnare per una vita intera almeno due persone. Adesso credo non si arrivi all'adolescenza senza aver pronunciato decine di volte un discutibile ti lovvo, unito pollice indice di entrambe le mani a cuore, digitato faccine con gli occhi a cuore o attaccato lucchetti a qualche inferriata.
E a scuola fioriscono i corsi, sin dalle elementari, sull'intelligenza emotiva e sulla gestione delle emozioni. D'altronde, se c'è la richiesta si propone un'offerta. Ciò che emerge dai corsi però è quasi sempre che i bambini faticano a utilizzare e a gestire le emozioni perché i genitori, e gli adulti in genere, sono i primi ad essere in difficoltà. La naturale spontaneità dei bambini spaventa, fa paura. Ci si preoccupa dell'aggressività perché può diventare bullismo. Della schiettezza perché può diventare maleducazione. Della vitalità perché può diventare iperattività. Del contatto perché può diventare ambiguo. Dell'apprezzamento perché può sottendere significati nascosti.
Proprio da questa paura di esprimersi derivano molte difficoltà nel relazionarsi con gli altri. Ecco che i 144 caratteri di un sms o le faccine diventano allora alleati per i ragazzi ma anche per gli adulti. Riscoprire la capacità di sperimentare, rischiare, al limite anche sbagliare permette di rinsaldare i legami esistenti, di crearne di nuovi e se necessario di sfoltire le relazioni dannose o malsane. Si può allora affrontare la sfida, mettere da parte cellulare e pc e provare a guardare davvero negli occhi il nostro interlocutore. Il resto, verrà da sé.